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Papa 'apre' a un Sinodo della Chiesa italiana

E su riforma nullità nozze striglia vescovi: in Italia inapplicata

    Papa Francesco 'apre' a un Sinodo della Chiesa italiana su fede, politica e democrazia, la proposta che era stata lanciata in gennaio da Civiltà Cattolica in un articolo del direttore padre Antonio Spadaro, prelato molto vicino al Pontefice. Il Papa, nel suo discorso d'apertura alla 73/a Assemblea generale della Cei, non ha detto un 'sì' esplicito alla proposta, che era stata sostenuta anche da alcuni interventi sull'Osservatore Romano, tra cui quello del vescovo di Rieti mons. Domenico Pompili, non trovando però un consenso dei vertici Cei. Ha però fatto persino di più: ha indicato quale dev'essere la via per procedere. Segno chiarissimo che quella è la strada su cui incamminarsi.

    Una novità cruciale, tenendo conto che l'idea del gesuita Spadaro indicava nel cammino sinodale il trampolino per un nuovo impegno dei cattolici in politica, contro i messaggi di "odio" e "la perdita del senso di fratellanza umana e di solidarietà". Pure il crocifisso è usato come segno dal valore politico, avvertiva Spadaro, e "adesso è Cesare a impugnare e brandire quello che è di Dio, a volte pure con la complicità dei chierici": un allarme quasi profetico, viste le evoluzioni degli ultimi giorni.

    E oggi il Papa, dopo che il discorso sul possibile Sinodo si era pressoché arenato, ha 'rilanciato'. "Sulla sinodalità", ha detto, "anche nel contesto di un probabile Sinodo della Chiesa italiana - ho sentito rumori ultimamente di questo, sono arrivati fino a Santa Marta - vi sono due direzioni: sinodalità dal basso verso l'alto", ha spiegato, "ossia il dover curare l'esistenza e il buon funzionamento delle diocesi, i consigli, le parrocchie, il coinvolgimento dei laici. Incominciare dalle diocesi: non si può fare un grande Sinodo senza andare alla base, così il moto dal basso in alto, e la valutazione del ruolo dei laici".

    "E poi la sinodalità dall'alto verso il basso - ha aggiunto -, in conformità al discorso che ho rivolto alla Chiesa italiana nel quinto Convegno nazionale a Firenze, tenutosi il 10 novembre del 2015, che rimane ancora vigente e deve accompagnarci in questo cammino". "Se qualcuno pensa a fare un Sinodo della Chiesa italiana - ha chiuso - si deve incominciare dal basso in alto e dall'alto in basso col documento di Firenze. Questo porterà tempo ma si camminerà sul sicuro non sulle idee". Torna così anche il richiamo al discorso di Firenze, cui faceva riferimento lo stesso Spadaro: proprio quello che nel recente incontro con la diocesi di Roma, il Papa ha lamentato essere stato del tutto disatteso e dimenticato dalla Chiesa italiana.

    Ma nel breve intervento 'pubblico' di questo pomeriggio, prima della parte delle domande e risposte con i vescovi a porte chiuse, il Papa ha lanciato un'altra, significativa accusa. "Sono ben consapevole - ha osservato - che voi, nella 71/a assemblea generale e attraverso varie comunicazione, avete previsto un aggiornamento circa la riforma del regime amministrativo del tribunali ecclesiastici in materia matrimoniale. Tuttavia mi rammarica constatare che la riforma, dopo più di quattro anni, rimane ben lontana dall'essere applicata nella grande parte delle diocesi italiane".

    Francesco ha auspicato "vivamente" che l'applicazione dei due Motu proprio dell'agosto 2015 con cui riformò e snellì i giudizi di nullità "trovi la sua piena e immediata applicazione in tutte le diocesi dove ancora non si è provveduto". Vanno quindi istituiti i tribunali diocesani o interdiocesani, essendo stati aboliti quelli regionali. Per il Papa, "la spinta riformatrice del processo matrimoniale canonico, caratterizzata dalla prossimità, celerità e gratuità delle procedure, è volta a mostrare che la Chiesa è madre e ha a cuore il bene dei propri figli": qui " figli segnati dalla ferita di un amore spezzato".

    Tutti gli operatori "devono agire perché questo si realizzi", e "non anteporre null'altro che possa impedire o rallentare l'applicazione della riforma, di qualsiasi natura o interesse possa trattarsi". "Il buon esito della riforma - ha concluso - passa necessariamente attraverso una conversione delle strutture e delle persone: e quindi non permettiamo agli interessi economici di alcuni avvocati oppure che la paura di perdere potere di alcuni vicari giudiziali freni o ritardi la riforma".

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