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Pedofilia: Pell in carcere, sentenza il 13 marzo

Revocata libertà su cauzione. E Vaticano apre processo canonico

    La vicenda del cardinale australiano George Pell, che papa Francesco aveva scelto tra i suoi principali collaboratori e consiglieri e a cui aveva affidato la riforma delle finanze vaticane, si fa sempre più spinosa per la Santa Sede e per la sua proclamata volontà di affrontare radicalmente la piaga della pedofilia nel clero.

    Per il porporato che è stato tra i più potenti del pontificato di Bergoglio, si sono aperte infatti le porte del carcere: da stanotte Pell sarà detenuto nella Assessment Prison di Melbourne, in attesa della sentenza di condanna prevista per il 13 marzo. E' la conseguenza del fatto che è stata revocata la libertà su cauzione al cardinale, dichiarato colpevole da una giuria australiana di abusi sessuali su due coristi di 13 anni quando era arcivescovo di Melbourne verso al fine degli anni '90. A stabilirlo è stata la County Court di Melbourne, a conclusione di un'udienza pre-sentenza di condanna in cui i legali delle parti hanno presentato le argomentazioni finali.

    Durante l'udienza odierna è stato confermato che i cinque reati di cui il cardinale è stato dichiarato colpevole comportano una condanna massima di 10 anni ciascuno. A Pell era stata accordata la libertà su cauzione dopo la sua incriminazione lo scorso dicembre, perché richiedeva un intervento chirurgico alle ginocchia.

    Ma le traversie giudiziarie di Pell, che è stato anche arcivescovo di Sydney e, fino al 12 dicembre scorso, membro del 'C9' -, il consiglio di cardinali che assiste papa Francesco nel governo della Chiesa e nella riforma della Curia romana - non finiscono qui. Il padre di uno dei due coristi di 13 anni che sarebbero stati aggrediti sessualmente nel 1996 dall'allora arcivescovo di Melbourne sta intentando causa di risarcimento sia contro il prelato che contro la Chiesa cattolica, dopo la morte del figlio per overdose di eroina nel 2014. Lo studio legale Shine Lawyers, che lo rappresenta, riferisce che il padre della vittima, che non può essere identificato per legge, ha deciso di farsi avanti dopo il verdetto di colpevolezza. Egli sostiene che il figlio abbia sofferto di stress post-traumatico a causa degli abusi subiti. Morto a 31 anni, non aveva mai parlato con i genitori degli abusi subiti, ma il padre ritiene che sia stato per questo che si sia affidato alla droga.

    "E' molto comune che i sopravvissuti agli abusi sessuali ricorrano alle droghe nel tentativo di offuscare il dolore", ha detto ai media la legale di Shine, Lisa Flynn, che si occupa del caso, aggiungendo che il suo cliente sosterrà che Pell "ha le mani sporche di sangue". "E' terrorizzante per loro farsi avanti. Una delle buone cose che sono venute dal verdetto di colpevolezza è che mostra alle persone che non importa quanto una persona sia potente e importante, può sempre essere chiamata a rendere conto delle proprie azioni. Di più si comincerà a parlare di queste cose, più al sicuro saranno i nostri bambini".

    L'altro dei due uomini, che anche non può essere identificata, in un comunicato tramite il suo legale dice di aver sofferto "vergogna, solitudine, depressione e conflitti interni" per effetto degli abusi. Ha aggiunto che ci sono voluti anni per comprendere l'impatto che l'aggressione ha avuto sulla sua vita e ha implorato di rispettare il suo anonimato e la sua privacy.

    Intanto, oltre a confermare che "il cardinale George Pell non è più il prefetto della Segreteria per l'Economia" - il mandato quinquennale gli è infatti scaduto tre giorni fa, il 24 febbraio, e chiaramente non sarà rinnovato dal Papa - il portavoce della Santa Sede Alessandro Gisotti ha oggi chiarito che "dopo la sentenza di condanna di primo grado nei confronti del cardinale Pell, la Congregazione per la Dottrina della Fede si occuperà ora del caso nei modi e con i tempi stabiliti dalla normativa canonica". L'iter del processo canonico, nel caso se ne riscontrassero gli elementi, potrebbe anche portare alla dimissione dallo stato clericale, come di recente accaduto per l'ex cardinale di Washington Theodore McCarrick.

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