Europee: Il risiko dei candidati ai top job delle istituzioni Ue

Si parte dal Parlamento, poi tocca alla Commissione, Consiglio e Bce

di Patrizia Antonini

Il voto del 28 maggio segnerà l'inizio della complessa partita per la scelta di chi andrà a ricoprire i top job ai vertici delle istituzioni europee. Una partita in cui le variabili in campo, oltre alla famiglia politica di appartenenza, saranno anche i Paesi di provenienza, il genere e gli accordi, più o meno trasparenti, tra i governi.

La posta in gioco è alta, si va dalla presidenza dell'Eurocamera - dove Antonio Tajani (Fi/Ppe) spera in una riconferma - a quella della Commissione europea occupata negli ultimi cinque anni dal lussemburghese Jean-Claude Juncker, con il popolare bavarese Manfred Weber, la liberale danese Marghrete Vestager, il socialista olandese Frans Timmermans, tra gli aspiranti in prima fila.

Un risiko che porterà anche alla scelta dei successori del presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, del capo della diplomazia dell'Unione, Federica Mogherini, e del presidente della Bce, Mario Draghi, il cui mandato scade il 31 ottobre.

La cancelliera Angela Merkel ha fatto sapere che la Germania è più interessata ad ottenere la massima carica dell'esecutivo comunitario rispetto a quella della Bce, lasciando la strada aperta alla Francia, che spinge per Francois Villeroy de Galhau. Ma anche i Paesi nordici, che non hanno mai ottenuto alte cariche, hanno due candidati forti per la Banca centrale europea: Olli Rehn e Erkki Liikanen, entrambe finlandesi.

Il negoziato tra Parlamento e Consiglio per riempire la casella del presidente della Commissione europea, al via da giugno, si prospetta comunque estremamente complesso.

In teoria l'incarico dovrebbe essere affidato dai leader europei, a maggioranza qualificata, allo Spitzenkandidat del partito che vincerà le elezioni e che dovrà poi ottenere il via libera del Parlamento (come avvenuto cinque anni fa per Juncker). Ma in realtà, ed anche a causa delle tante incognite che pesano sui risultati delle elezioni, si va incontro a lunghe settimane di difficili trattative.

Da un lato infatti c'è l'Eurocamera, con le sue principali famiglie politiche decise a seguire la linea dello Spitzenkandidat (Weber per il Ppe, Timmermans per S&d, i sette candidati dei liberaldemocratici dell'Alde tra cui Emma Bonino, Margrethe Vestager e l'ex premier belga Guy Verhovstadt). Dall'altro ci sono i capi di Stato e di governo che stavolta hanno invece tutta l'aria di voler dettare la linea.

E per questo non è affatto da escludere l'ipotesi che alla fine passi una candidatura esterna, ad esempio quella del capo negoziatore della Ue per la Brexit Michel Barnier, col sostegno, tra gli altri, di Emmanuel Macron.

A dare il via al risiko delle nomine per la nona legislatura Ue, dopo le elezioni di maggio, dovrebbe essere il vertice dei leader Ue di giugno con la designazione del nuovo presidente della Commissione.

L'elezione del presidente dell'Eurocamera e dei 14 vice dovrebbe invece arrivare in occasione della plenaria inaugurale del Pe che prenderà il via il 2 luglio, mentre nel corso della seconda plenaria di luglio la nuova assemblea dovrebbe discutere e approvare la candidatura avanzata dal Consiglio per la presidenza della Commissione.

Una volta ricevuta luce verde dal Pe, il nuovo capo dell'esecutivo europeo dovrà procedere alla formazione della sua squadra - assegnando i relativi portafogli - sulla base delle designazioni avanzate dai governi nazionali. Costoro dovranno poi superare lo scrutinio del Pe per essere pronti a insediarsi a novembre, visto che il mandato dell'attuale Commissione scadrà il 31 ottobre.

A decidere le nomine del presidente del Consiglio europeo (in scadenza a novembre) e dell'Alto rappresentante dell'Unione - che ricopre anche la carica di vicepresidente della Commissione - sarà invece direttamente il Consiglio europeo: nel 2014 ne fu convocato uno straordinario ad hoc.

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