di Redazione ANSA
A Lodi, nel Parco tecnologico padano dove si mettono a punto i nuovi ‘ricostituenti’ per le piante: produzione più abbondante ed ambiente preservato

Dal laboratorio al campo: i biostimolanti, il circolo virtuoso della produzione agricola

A Lodi, nel Parco tecnologico padano, la Bict, start up nata nel settore farmaceutico e passata all'agricoltura, mette a punto i nuovi ‘ricostituenti’ per le piante, enzimi che aumentano la resa del 10-30% e preservano l'ambiente.

Lodi, Parco tecnologico padano, al secondo piano di un’ala dell’edificio principale, tra due corridoi e una serie di laboratori e celle frigorifere, girano indaffarati camici bianchi, in sottofondo, costante, il ronzare di macchinari. E’ qui, in uno spicchio di pianura padana che va in scena un capitolo di una delle rivoluzioni attualmente in corso tra campi e laboratori: la Bict, una start up nata nel settore farmaceutico e passata armi, bagagli e tecnologia all’agricoltura, sta creando dei biostimolanti naturali, in parole povere delle soluzioni a base di enzimi che aumentano la resa delle piante del 10-30%. Non siamo alla pozione di Asterix, ma per le piante e per gli agricoltori si tratta di un contributo importante per migliorare la produzione, il tutto, come insistono dalla Bict, in maniera assolutamente naturale, quindi compatibile con l’agricoltura biologica.

 

Dalla farmaceutica all'agricoltura

Dalla farmaceutica all'agricoltura

“Ci siamo insediati qui al Parco tecnologico di Lodi nel 2010”, racconta Silvia Rapacioli, una dei responsabili della società, “offrendo servizi di ricerca ed innovazione nel settore farmaceutico”. Da qui il passo in campagna, con un salto che è molto recente ma che sta già dando i suoi primi frutti. “Lavorando in ambito farmaceutico e, specialmente, usando gli enzimi che fanno parte del nostro core business, abbiamo visto come queste tecnologie potessero in realtà essere applicate anche in ambiti diversi, ed in particolare a quello agrario, l’anno scorso abbiamo trasferito questa esperienza in agricoltura sviluppando prodotti in grado di favorire l’assorbimento e l’assunzione di nutrienti da parte delle piante”. Appunto, i biostimolanti.


Cosa sono i biostimolanti

Cosa sono i biostimolanti

Per biostimolante si intende una molecola, una sostanza o un microorganismo in grado di incrementare l’assunzione dei principi nutritivi da parte della pianta o di potenziare le sue capacità di difesa e di resistenza agli stress ed alle avversità ambientali, quali caldo o freddo, siccità ed eccessiva salinità del terreno. Il termine viene coniato nel 1997 da due ricercatori della Virginia Polytechnic Institute and State University, Zhang e Schmidt, per indicare “sostanze che applicate in piccole quantità promuovono la crescita delle piante”. Nel 2007 Kauffman riprende la definizione con alcune modifiche definendo i biostimolanti “materiali diversi dai fertilizzanti che promuovono la crescita applicati a basse dosi”. 

A differenza dei fertilizzanti, che apportano solamente elementi nutritivi, I biostimolanti sono infatti prodotti più complessi che permettono di ottimizzare le performance delle piante durante tutto il suo ciclo di vita, migliorando, appunto, la resistenza agli stress, stimolando il metabolismo, incrementando l’assorbimento e l’assimilazione dei nutrienti, aumentando la qualità di frutti e ortaggi (zuccheri, pezzatura, sapore, colore), favorendo la fotosintesi, e, infine, incrementando la fertilità fisica e biologica del suolo. Inoltre, sempre a differenza dei fertilizzanti, non hanno un impatto ambientale.


Un mercato in grande crescita

Un mercato in grande crescita

Si tratta di una tecnologia relativamente nuova, ma anche di un mercato in fortissima crescita ed in cui l’Italia gioca un ruolo molto importante, con diversi grossi produttori. Secondo un recente studio di Markets&Markets il mercato dei biostimolanti ha raggiunto nel 2016 un giro d’affari globale di 1,79 miliardi di dollari, una cifra destinata a crescere ad un ritmo del 10,43% da qui al 2022 per arrivare a 3,29 miliardi tra 5 anni.

 

 


Come si creano i biostimolanti

“Abbiamo sviluppato questi biostimolanti in primo luogo perché volevamo questo effetto biostimolante e quindi perché volevamo un prodotto completamente compatibile con l’agricoltura biologica”, interviene Roberto Verga, l’altra anima della Bict. “Per questo abbiamo utilizzato biomasse di origine vegetale, anche scarti di lavorazione, e degradandole, ossia riducendo molecole complesse in molecole più semplici, tramite l’uso di enzimi, siamo arrivati ai nostri prodotti”. 

E qui si passa alla sperimentazione, a diversi gradi. “Prima abbiamo testato i prodotti in camere climatiche”, spiega ancora Verga, “su piante di interesse agronomico, come pomodori, insalate, granoturco, in condizioni controllate di umidità, temperatura e cicli di luce, valutando l’effetto sulla biomassa, sulla produttività, sull’aumento di foglie e radici”. Quindi il passaggio in serra, ma solo per i “candidati migliori” e, infine, in campo aperto per la selezione finale. “Questo ci ha permesso di sviluppare dei prodotti, attualmente ne abbiamo 5 di cui un paio in avanzato stato di sperimentazione che andranno sul mercato tra un anno circa”.

 


Dal laboratorio al campo

Dal laboratorio al campo

Ultimo passaggio il campo. I biostimolanti messi a punto a Lodi sono stati testati in diversi appezzamenti, tra cui quelli di Stefano Mandelli, vivaista ed apicultore di Concorrezzo, in Brianza.

“Per questo piccolo appezzamento in cui abbiamo testato nell’ultimo anno i biostimolanti, abbiamo avuto un riscontro positivo”, spiega Mandelli mostrando una parte del suo vivaio in cui procede alla sperimentazione, “per questa superficie è sufficiente un bicchiere di prodotto, somministrato in tre fasi successive della vita vegetativa: poco dopo l’impianto, a metà vegetazione ed adesso che ci troviamo quasi in fase di raccolto. I risultati sono evidenti, la crescita è vigorosa. Mai prima avevamo avuto dei risultati così positivi”.

La somministrazione avviene tramite fertirrigazione, somministrando i biostimolanti mischiati con acqua in prossimità delle piante e, in alcuni casi, a livello fogliare. Bastano pochi litri di prodotto per ettaro.

 


Più produzione e un ambiente protetto

Ma non c’è solo la resa aumentata, per un surplus di raccolto che va dal 10% al 30%, i biostimolanti non si fermano qui. “L’effetto ricostituente – interviene Verga - aumenta la difesa anche in comparti correlati all’agricoltura quali ad esempio l’apicoltura”. Un effetto che si può apprezzare proprio vicino al vivaio di Mandelli, dove sviluppa la sua seconda attività, l’apicultura.

“Abbiamo 300 alveari in Brianza”, racconta Mandelli davanti alle sue arnie, “negli ultimi anni abbiamo potuto vedere i problemi di mortalità e spopolamento delle api per diverse ragioni, ma in particolare per l’utilizzo indiscriminato di pesticidi, antiparassitari, del diserbo a tappeto che vengono fatti dove l’agricoltura è intensiva”. “Abbiamo scelto di utilizzare i biostimolanti – conclude - perché questi prodotti preservano un ambiente più naturale possibile: a noi serve un’agricoltura funzionale e da reddito ma anche un ambiente naturale dove le nostre api possano lavorare, bottinare, raccogliere il polline e il nettare dei fiori e chiudere così il circolo che va dalle piante ai primi utilizzatori delle piante che sono le api”.

Quello del circolo virtuoso è un concetto che anche Rapacioli e Verga ripetono a più riprese: “partiamo da materie di scarto dell’industria agroalimentare, applichiamo la tecnologia in cui siamo esperti e ne facciamo dei prodotti ad alto valore aggiunto che possano servire per favorire la nutrizione delle piante e quindi il benessere del consumatore. Con più cibo, più sicuro e sostenibile, chiudiamo il cerchio: da una materia di scarto abbiamo fatto un prodotto ad alto valore aggiunto che ritorna sul campo, chiudendo una circolarità sostenibile”. Ed aiutando le api.