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Coronavirus, a Bologna scatta il piano 'casa per casa'

Parla l'infettivologo Viale: 'Obiettivo è intercettare i pazienti in fase iniziale infezione'

"Il vero centro della partita si gioca prima della terapia intensiva, si gioca a casa dei pazienti. Abbiamo ricoverato in malattie infettive una nostra infermiera che, da 10 giorni era a casa con 39 di febbre, prendeva la tachipirina e si sentiva un po' meglio e per quello non chiamava. Non deve più succedere questo: il malato che ha la febbre oggi, nell'era Covid, è un malato che, fino a prova contraria, deve essere gestito come un Covid". Lo ha detto il professor Pierluigi Viale, direttore di Malattie infettive del Policlinico di Sant'Orsola di Bologna, in una call con anestesisti e medici della terapia intensiva. Il video della conversazione è stato pubblicato su YouTube, inizialmente con visualizzazione pubblica, poi solo 'privata'.

"Abbiamo la sensazione che la partita della gestione di questi pazienti sia tempo dipendente - dice - Più rapido sei a intervenire con farmaci anti-virali prima, con farmaci immunomodulanti dopo, con l'assistenza respiratoria, meglio fai. Probabilmente lasciare il malato a casa o in area internistica con un cannula di ossigeno non serve a nulla, bisogna aggredire questo malato dal punto di vista respiratorio".

"Essere molto precoci nella terapia dovrebbe, idealmente, fare guarire il paziente più precocemente, evitare l'evoluzione verso la fase iperinfiammatoria della malattia, quindi fare risparmiare vite e ricoveri in terapia intensiva e in ospedale". "L'esperto di Covid non esiste, il più esperto d'Europa l'ha visto per la prima volta un mese fa, come noi", ha detto ancora Viale.

ECCO L'ITER DEL PIANO DI INTERVENTO - Scovare casa per casa i potenziali pazienti Covid-19 con pochi sintomi e trattarli prima che le loro condizioni si aggravino e dunque evitare che i pronto soccorso vadano in tilt per l'arrivo simultaneo di più persone già in insufficienza respiratoria: è l'obiettivo del piano per contrastare il coronavirus messo a punto dall'Ausl di Bologna e dal Policlinico Sant'Orsola.

Chiave il ruolo dei medici di medicina generale. Sono i primi ad attivarsi: contattano telefonicamente i propri pazienti sintomatici e li valutano - sulla base della storia personale dei pazienti in cura e di una check-list stilata dalle Malattie infettive del Sant'Orsola. I casi sospetti sono indirizzati con una scala di priorità - che va dall'immediato alle 72 ore successive - e ad orari predefiniti alle strutture check-point sul territorio (per ora a Bologna l'ospedale Maggiore e il Sant'Orsola). I pazienti vengono qui accolti da un medico infettivologo per una valutazione più approfondita e l'eventuale terapia, per il paziente e anche per chi ne condivide la dimora. Se clinicamente possibile, il paziente è rinviato al domicilio e gestito dal medico generale, altrimenti si procede al ricovero.

La terapia precoce si basa sulla idrossiclorochina. Il piano è già partito: domenica 29 marzo sono stati effettuati primi controlli e ai 35 pazienti che sono stati inviati al Maggiore è stata somministrata la terapia. Sette di questi sono stati ricoverati ma in un reparto non intensivo. Un primissimo bilancio, spiega il Sant'Orsola, che dimostra "al momento la validità del modello e la sua capacità di anticipare l'aggravarsi" della patologia.

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