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Aliya Bet, il ritorno a casa degli Ebrei

Aliya Bet, il ritorno a casa degli Ebrei

Le storie di 21mila profughi e l'aiuto dell'Italia con 34 navi

ROMA, 23 novembre 2018, 20:47

Marzia Apice

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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 ROMA -Gli stabilimenti di Cinecittà, una volta simbolo della propaganda fascista, come luogo di accoglienza dentro i teatri di posa per gli ebrei sopravvissuti alla Shoah. Il volto sorridente del capitano Enrico Levi che porta in salvo su imbarcazioni di fortuna centinaia di profughi verso la Palestina. Le manifestazioni nelle piazze italiane degli ebrei per ringraziare "l'Italia ospitale". E poi una donna, il braccio marchiato al lager, che sembra aver dimenticato l'orrore subìto mentre felice stringe al petto il suo bambino appena nato. Sono tante le immagini di speranza e coraggio che compongono la mostra "Dalla Terraferma alla Terra Promessa. Aliya Bet dall'Italia a Israele, 1945-1948", allestita a Roma alla Casina dei Vallati dal 25 novembre al 13 gennaio. Al centro dell'esposizione curata da Rachel Bonfil e Fiammetta Martegani, e giunta nella Capitale dopo il successo ottenuto al Museo Muza-Eretz Israel di Tel Aviv, una pagina di storia ancora poco conosciuta: l'odissea di migliaia di ebrei che, sopravvissuti ai campi di concentramento, cercano alla fine della seconda guerra mondiale di far ritorno clandestinamente in Palestina, all'epoca Mandato Britannico. Le circa 70 fotografie in mostra (accanto a filmati e documenti originali) raccontano con grande efficacia il cosiddetto Aliya Bet, il "movimento di ritorno illegale" del popolo ebraico verso la Terra Promessa: transitando e sostando nel nostro Paese dal 1945 al 1948, migliaia di superstiti all'Olocausto trovarono rifugio, ricominciarono a vivere e si prepararono a partire verso la Palestina. Sfuggendo ai controlli britannici, in Italia vennero utilizzate 34 navi (alcune dei semplici pescherecci) che salparono clandestinamente da diversi porti della penisola - dalla Liguria alla Puglia - portando a casa circa 21 mila ebrei. Quello che maggiormente colpisce è l'attualità della mostra, in una rievocazione della memoria che sembra molto un riferimento al presente: gli occhi dei profughi di allora sono infatti gli stessi di quelli che vediamo nelle cronache di oggi, e il Mediterraneo è ancora un mare attraverso il quale navigare per conquistarsi la possibilità di un futuro degno di essere vissuto. Accanto alle storie degli ebrei che nella sosta italiana crearono dei kibbutz in cui prepararsi a vivere come avrebbero fatto una volta tornati a casa - studiando l'ebraico, continuando a celebrare le proprie feste, facendo corsi di agraria - il percorso lascia emergere la grande generosità e l'operosità di tanti italiani che, da Nord a Sud, sfidando la legge non girarono la testa dall'altra parte: dagli eroi, come il capitano Levi o Ada Sereni, capo del Mossad LeAliyaBet dell'operazione in Italia (insieme con Yehuda Arazi), ai cittadini comuni, in tantissimi non risparmiarono il proprio aiuto ai sopravvissuti alla Shoah. "Questa mostra racconta solo 3 anni, ma che bastano a far capire tutta la storia di Israele e il ruolo avuto dall'Italia nel costruire un ponte sul Mediterraneo", spiega oggi all'Ansa la curatrice Fiammetta Martegani, "abbiamo voluto creare un messaggio di speranza: la storia degli ebrei non è diversa da quella degli immigrati di oggi. Se c'è impegno tutto è possibile. Si parla spesso di memoria, ma in pochi conoscono questa vicenda".

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