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Dai figli al lavoro, la vita con una malattia rara nel sangue

Dai figli al lavoro, la vita con una malattia rara nel sangue

Laura ha avuto una figlia, Giuseppe non lavora da anni

12 dicembre 2019, 19:55

Redazione ANSA

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Laura ha saputo di avere la porpora trombotica trombocitopenica acquisita (attp) il giorno dopo essersi sposata, quando si preparava a partire per il viaggio di nozze in Madagascar. Era andata al Pronto soccorso perché accusava da qualche giorno un senso di malessere generale e per sua fortuna di guardia c'era un ematologo, che ha intuito che potesse avere quella che è una malattia molto rara del sangue. Ma è sempre riuscita a smentire le previsioni fosche fattele dai medici, come ha raccontato in un incontro al Policlinico a Milano.
"Io avevo chiesto al medico di darmi qualcosa di forte per partire in luna di miele e lui mi ha risposto che rischiavo di non arrivare al giorno dopo", ha raccontato. Però ha detto di aver avuto fortuna. "Arrivata all'ospedale di Siena ho trovato 8 medici ad attendermi che mi hanno curata benissimo - continua - Dopo essermi ripresa da questo attacco, che è stato finora l'unico avuto, mi hanno detto che non avrei potuto avere figli e che per i 2 anni seguenti dovevo stare in una campana di vetro, cercando di evitare infezioni e problemi".
Ma pochi mesi dopo in un incidente stradale si frattura entrambe le gambe. "In quel caso mi dissero che non sarei tornata a camminare - prosegue Laura - Per fortuna ho ripreso a camminare e ho avuto una figlia, che oggi ha 9 anni, con una gravidanza assolutamente tranquilla".
Ma se per lei le cose sono andate finora bene, per altri malati le cose sono più difficili, come dimostrano le storie dei malati che aderiscono all'Associazione dei pazienti attp. "Io ho avuto 4 recidive dopo il primo attacco - aggiunge Giuseppe - tutte pesanti. Ma la cosa più difficile da gestire è stata il lavoro. L'anno dopo il mio primo episodio l'azienda per cui lavoravo è chiusa, e dal 2008 nessuno ha più voluto prendermi, sapendo che ho questa malattia. Adesso ho smesso di cercare per non sentirmi sempre rifiutato". Una situazione che, rileva Massimo Chiaramonte, presidente dell'associazione, "spinge molti malati a vivere nascosti e non iscriversi all'associazione per paura di perdere il lavoro".

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